PROGETTO WORLD’S KITCHENS PRIMO SU 17 PERCORSI DI IMPRENDITORIA FEMMINILE A TREVISO
23 Novembre 2021Gli orti di domani
26 Marzo 2024«Non basta più offrire un posto, ora vogliono una prospettiva di carriera» «È vero: il Veneto è una meta meno attrattiva di un tempo, per gli immigrati. Per invertire la tendenza servono degli aggiustamenti e, soprattutto, un cambio di mentalità». Abdallah Khezraji, volto storico della comunità marocchina veneta, attualmente è vicepresidente della Consulta regionale per l’immigrazione e presidente dell’Organizzazione italo-marocchina per i diritti umani. Non sembra stupito delle parole del leader di Assindustria Venetocentro, Leopoldo Destro, secondo il quale occorre aprire le porte a «una immigrazione ordinata» perché «invecchiamento e crisi della natalità minano la sostenibilità del nostro sistema economico». Insomma, il Veneto roccaforte leghista ha bisogno di stranieri per reggersi in piedi. Quelli che ci sono, non soltanto non bastano ma se ne stanno andando. Khezraji, che cosa sta accadendo? «Gli immigrati “storici”, quelli arrivati negli anni Novanta, hanno ottenuto la cittadinanza italiana. E con quella sono liberi di trasferirsi in altri Paesi europei. È ciò che una fetta importante di loro sta facendo: lasciano il Veneto per andare in Germania, Olanda, nei Paesi Scandinavi…». Perché? «La pandemia ha portato alla chiusura di molte aziende, e quindi alcuni hanno perso il lavoro. Ma c’è un altro fattore: all’estero esiste un welfare migliore del nostro, anche all’interno delle aziende. Raggiunta la stabilità economica, ora pensano al futuro dei propri figli e quindi si trasferiscono in Paesi che sono in grado di garantire ai giovani maggiori possibilità di studio e di carriera. Perché, a livello di appeal, il Veneto non paga solo la crisi economica ma anche la difficoltà a scrollarsi di dosso i vecchi pregiudizi». Intende dire che c’è ancora troppo razzismo? «Lo definirei “nazionalismo”. Diciamo che ancora troppi lavori sono di difficile accesso per gli stranieri. Mi riferisco anche a mestieri comuni: gli autisti di colore, ad esempio, sono una rarità. Più in generale, non si è superata del tutto la logica che l’immigrato è ben accetto soltanto se occupa quelle mansioni umili e faticose che gli italiani non vogliono più fare. Conosco uno straniero che ha aperto un’azienda di trasporti e dà lavoro a diversi camionisti della zona. Ebbene, mi racconta che incontra molta difficoltà a far rispettare gli ordini che impartisce, perché alcuni dipendenti non accettano l’idea che il capo non sia un italiano». All’estero questi pregiudizi non ci sono?«Dipende dai Paesi: in alcuni, l’unica cosa che conta è come sai fare le cose, non da dove provieni. E poi è evidente che nella nostra regione, ma anche in buona parte del resto d’Italia, esiste ancora un forte squilibrio che riguarda le opportunità di crescita professionali». Che significa?«Poche aziende hanno degli stranieri tra i propri dirigenti. E allora, perché un giovane immigrato, magari con una laurea, dovrebbe rimanere in un territorio che non gli garantisce le giuste opportunità?». Quindi per rendere nuovamente attrattivo il Veneto occorre cancellare ogni tipo di discriminazione.«Servono anche incentivi e garanzie. Gli imprenditori dovrebbero fare pressioni sugli enti pubblici, affinché garantiscano un maggior accesso all’edilizia popolare, e sulle banche, perché concedano più facilmente mutui e prestiti. E poi garantire corsi di formazione». Altrimenti? «Se gli industriali inseguono ancora il vecchio modello di manodopera straniera, temo che trovarne, per loro, sarà sempre più difficile». Andrea Priante, Corriere del Veneto, 23.11.2021